In Europa c’è una crescente consapevolezza: la partita della crescita si gioca sull’Industria 4.0, la quarta rivoluzione industriale, con nuove politiche finalizzate a rilanciare il settore produttivo e manifatturiero grazie all’innovazione tecnologica e organizzativa. È ormai evidente, infatti, che il mondo della produzione è alla soglia di un cambiamento profondo, che prevede l’integrazione sempre più stretta delle tecnologie digitali nei processi industriali manifatturieri, cambiando il volto dei prodotti e dei processi. L’industria 4.0 è quella che trasforma l’analogico in digitale, che rimpiazza le grandi catene di montaggio con i piccoli laboratori specializzati nella stampa 3D, le rigide organizzazioni gerarchiche con quelle flessibili e decentralizzate, i responsabili della logistica con i prodotti intelligenti che dialogano tra loro attraverso reti senza fili, il capitale finanziario con il capitale umano. Quella che annulla le differenze tra industria e servizi, tra produttori e consumatori, tra hardware e software. Da mesi a Bruxelles si moltiplicano gli studi di think tank indipendenti e istituzioni comunitarie che analizzano il fenomeno e i ritardi di colmare.
L’ultimo «Quadro di valutazione dell’innovazione» pubblicato dalla Commissione indica che quasi la metà delle imprese manifatturiere europee non ha usato tecnologie di produzione avanzate in passato e non ha intenzione di usarle nel prossimo anno. In uno studio della società di consulenza Roland Berger si stima che se l’Europa investisse nella quarta rivoluzione industriale 60 miliardi di euro all’anno, fino al 2030, si creerebbe un valore aggiunto di 500 miliardi e ci sarebbero 6 milioni di posti di lavoro in più. Nella Ue c’è un livello di disoccupazione intollerabile eppure il 40% delle aziende che cerca personale nel settore dell’Ict riferisce di avere difficoltà a trovarlo. Secondo la Commissione ogni anno abbiamo bisogno di 150 mila esperti di informatica aggiuntivi e per il futuro si stima che il 90% dei posti di lavoro richiederà una qualche forma di conoscenza digitale.
Le nuove tecnologie possono avere un significativo impatto in quattro ambiti: l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività. In secondo luogo gli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore perché oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese. La terza direttrice è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata. Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale”, e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.
Nella sua Strategia europea per la «Digital Industrial Leadership» nel mercato unico digitale la Commissione segnala che circa il 40% dei cittadini Ue ha capacità digitali “insufficienti” o inesistenti. La Commissione suggerisce azioni da prendere a livello nazionale e prevede di dedicare alla digitalizzazione e all’industria 4.0 per i prossimi cinque anni 500 milioni di euro, presi dal bilancio per la ricerca Horizon 2020. Ma bisogna puntare all’innovazione con determinazione e rapidità a tutti i livelli. La Germania è stato il primo Paese a varare il piano «Industrie 4.0». Oggi anche la Francia ha adottato la sua strategia «Industrie du futur» e anche l’Italia nei mesi scorsi ha presentato un piano – “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero” – nel quale ha indicato la propria strategia d’azione.
In particolare ha tracciato otto aree di intervento per promuovere lo sviluppo della quarta rivoluzione industriale: rilanciare gli investimenti industriali con particolare attenzione a quelli in ricerca e sviluppo, conoscenza e innovazione; favorire la crescita dimensionale delle imprese; sostenere la nuova imprenditorialità innovativa; definire protocolli, standard e criteri di interoperabilità condivisi a livello europeo; garantire la sicurezza delle reti e la tutela della privacy; assicurare adeguate infrastrutture di rete; diffondere le competenze per Industry 4.0; canalizzare le risorse finanziare. Ora però bisogna accelerare e trasformare i progetti in realtà concrete, altrimenti il rischio è di ripetere il flop della Strategia di Lisbona del 2000, quella che doveva fare dell’Unione la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010. Per questo è importante che l’Italia chieda con forza all’Europa di puntare sulla crescita e di trasformare le buone intenzioni in azioni concrete. E per questo è importante che lo scorso 12 marzo i leader socialisti a Parigi abbiano deciso di studiare nuove proposte per stimolare gli investimenti.
Come ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel suo documento di proposte di riforme per l’Ue è necessario invertire il trend della caduta degli investimenti. Il Piano Juncker è un inizio ma questo deve lavorare «in sinergia con le risorse del bilancio Ue e di quelle nazionali». Bisogna investire di più, spiega Padoan, e «le iniziative ad alta intensità di conoscenza, concentrate su capitale umano, ricerca, innovazione ed educazione di alto livello, sono quelle con il più alto potenziale di crescita e dovrebbero essere adeguatamente sostenute». di Patrizia Toia – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/FHPQpt